Intervista al Professor Marco Confalonieri
Direttore della Struttura Complessa di Pneumologia
Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste (ASUGI)
Grazie alla donazione di Azzurra Onlus e all’iniziativa promossa da AcegasApsAmga, in linea con la mission del Gruppo Hera, che da tempo valorizza progetti di responsabilità sociale coinvolgendo attivamente i propri dipendenti, è stato possibile potenziare l’offerta di pneumologia interventistica dell’ASUGI. La Pneumologia di Trieste si è dotata di un nuovo broncoscopio rigido e di strumentazioni bronchiali e polmonari dedicate.
La presentazione alla stampa, avvenuta il 5 settembre scorso, è stata l’occasione per porre alcune domande al professor Marco Confalonieri sulla situazione della sanità, locale e nazionale.
Professore, qual è la sua opinione sulla situazione della sanità regionale? Le opinioni politiche, su questo tema, spesso divergono.
«Il mio lavoro non è commentare le dichiarazioni dei politici o gli aspetti economico-manageriali della sanità regionale. Posso però parlare dei risultati concreti della struttura che dirigo. Ci occupiamo di malattie dell’apparato respiratorio e, nell’ultimo anno, abbiamo raggiunto numeri importanti: oltre 28.700 prestazioni ambulatoriali esterne (tra cui visite e broncoscopie), circa 15.500 prestazioni interne (visite, spirometrie, ecc.), per un totale di quasi 44.000 prestazioni ambulatoriali e polifunzionali. A questi si aggiungono 1.200 ricoveri (tra day hospital e ordinari), con più di un terzo dei pazienti provenienti da fuori Trieste, e oltre il 25% da fuori regione – dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, tanto per dare un’idea.»
Partendo dalla sua esperienza, quali sono le principali criticità del sistema sanitario regionale?
«Nel nostro caso specifico, una delle principali criticità riguarda la carenza di spazi. Faccio due esempi: dobbiamo organizzarci con turni per alternarci nell’uso degli ambulatori, e non sempre riusciamo ad accedere alla sala operatoria quando dobbiamo effettuare interventi di pneumologia interventistica.»
Anche per i medici ci sono liste d’attesa per la sala operatoria?
«Fortunatamente non dobbiamo utilizzarla ogni giorno, poiché la nostra non è un’attività chirurgica nel senso tradizionale. Tuttavia, in alcuni casi specifici è necessario utilizzare apparecchiature con il paziente completamente sedato, e in questi casi l’intervento va eseguito in sala operatoria. È qui che la pneumologia interventistica entra in gioco.»
Il nuovo ospedale di Cattinara potrà risolvere queste criticità?
«Me lo auguro. Ci aspettiamo un aumento degli spazi, ma sarà fondamentale che vengano gestiti in modo ottimale. Un’altra criticità è legata al personale, in particolare alla difficoltà di turnover e alla disponibilità di personale formato. Ad esempio, nella nostra struttura gestiamo una terapia respiratoria semi-intensiva, e spesso non riusciamo a coprire i turni infermieristici notturni.»
In questo contesto, quanto sono importanti le collaborazioni con le associazioni di volontariato?
«Sono fondamentali. Viviamo in un sistema sanitario universalistico che offre tutto a tutti: dal trapianto all’unghia incarnita. I costi, specie per i farmaci, sono in continua crescita, e siccome il budget proviene dalle tasse, è comprensibile che ogni cittadino pretenda il meglio nel proprio ospedale di riferimento. Ma mantenere questa qualità è complesso, soprattutto in un contesto in continua evoluzione come quello della medicina.
La medicina di oggi non è quella di 40 anni fa, quando fu progettato l’attuale Cattinara. Così come il nuovo Burlo è stato pensato in chiave innovativa e di ricerca, dobbiamo iniziare a ripensare anche i modelli sanitari. Ricordo che negli anni ’90, in un ospedale di Vancouver, c’era un cartello fuori con la lista “We need”, un invito ai cittadini a contribuire con donazioni. E parliamo di una struttura d’eccellenza internazionale. È un messaggio importante: anche un piccolo contributo può fare la differenza.»
Il nuovo broncoscopio rigido rientra in questo tipo di “piccoli grandi” aiuti?
«Assolutamente sì. Un broncoscopio rigido lo avevamo già, ma era uno solo. Se si fosse guastato, saremmo stati costretti a sospendere gli esami o a rimandare i pazienti. Avere ora un secondo strumento ci garantisce la continuità delle prestazioni e maggiore serenità. Questo tipo di donazione, seppur specifica, è di importanza enorme per l’operatività quotidiana.»
Iniziative come quella di AcegasApsAmga e Azzurra, però, sembrano ancora isolate…
«Sì, purtroppo. Sono iniziative spesso legate alla sensibilità dei singoli più che a una cultura diffusa di partecipazione collettiva. Eppure, nella nostra regione la sanità è complessivamente ben gestita, con pochi sprechi e buoni risultati, verificabili con indicatori oggettivi. Tuttavia, bisogna tenere conto delle esigenze crescenti dei cittadini e dei costi in aumento, soprattutto per i farmaci innovativi.
Pensiamo, ad esempio, ai farmaci per malattie rare: sono costosi, ma oggi esistono grazie agli investimenti nella ricerca. Fino a poco tempo fa, molte di queste patologie non venivano neppure considerate curabili. Le aziende hanno investito, la ricerca ha risposto, e oggi esistono terapie reali. Tuttavia, poiché il nostro sistema è universalistico, è lo Stato a doversi fare carico dei costi anche per le patologie più rare, che colpiscono pochi pazienti. Ed è qui che ogni aiuto, grande o piccolo, diventa prezioso e fondamentale.»