Da un paio d’anni lui è il mio presidente, e io il suo vice. Ma siamo amici da molto più tempo. Eppure, Alfredo ed io non avevamo mai parlato di sua figlia Azzurra, almeno fino al momento di questa intervista. Ci siamo emozionati entrambi.

Alfredo, chi era Azzurra?
«Azzurra nasce dall’amore di due persone. È venuta al mondo ben voluta e desiderata, anche se inizialmente ero contrario al nome scelto da mia moglie. Mi ricordava quella famosa e veloce barca degli anni Ottanta. Inoltre, non esisteva nemmeno un Santo con quel nome. Ma mia moglie fu determinata: alla fine mi convinse, dicendomi che era un nome ormai abbastanza diffuso, soprattutto tra le figlie di grandi attori e attrici.»

Quando è nata Azzurra?
«Il 21 ottobre 1986. Ero presente al parto e partecipai emotivamente alle fatiche di mia moglie. Ne rimasi profondamente colpito: fino ad allora avevo visto qualcosa di simile solo in TV. Ho amato mia figlia fin dal primo istante, fu un’emozione meravigliosa.
Purtroppo, dopo soli sette giorni, tutto cambiò. Ci accorgemmo che Azzurra non mangiava, e quindi non cresceva. La portammo al Burlo, nel reparto di Neonatologia. Da quel momento iniziò il nostro dramma.»

La diagnosi fu immediata?
«No. I primi giorni i medici pensavano che la perdita di peso fosse fisiologica. La misero in incubatrice, aspettando un recupero spontaneo.
Nel frattempo, mia madre e mia suocera non mancavano occasione per dire che io e mia moglie eravamo solo dei giovani inesperti, incapaci di nutrire una neonata.
Poi anche i medici iniziarono a sospettare che ci fosse qualcosa che non andava. Si parlava di acidosi lattica, ma nessuno sapeva davvero cosa avesse Azzurra.
Da lì cominciò un’intensa collaborazione con i sanitari dell’Ospedale: dal dottor Bembi, che la fece nascere, al prof. Panizon e al prof. Nordio.»

Tu e tua moglie lavoravate in quel periodo?
«Io sì, mentre mia moglie aveva appena ceduto il negozio di abbigliamento che gestiva in Campi Elisi. Dopo le dimissioni, Azzurra aveva bisogno di cure continue a causa di un sondino naso-gastrico che andava cambiato ogni due giorni e serviva sia per nutrirla sia per somministrarle le terapie.»

Cosa ha significato per Alfredo Sidari trovarsi, dopo soli sette giorni dalla nascita, in questo girone infernale?
«Il tempo si ferma. La vita si ferma. Non capisci cosa ti stia succedendo, non hai esperienza, non esistono situazioni cliniche analoghe con cui confrontarti.
Brancoli nel buio e ogni giorno ti chiedi: “Cosa succederà oggi?”
Non c’era una diagnosi, non c’era un percorso da seguire. Non era come avere l’influenza, con una medicina da prendere. In un certo senso, questo ti proteggeva: non avevi elementi per spaventarti davvero.»

Cosa accadde nei mesi successivi?
«La vera novità fu che si formò spontaneamente un gruppo di medici che iniziò a confrontarsi: parlavano tra loro, con colleghi di Milano, Roma, Danimarca, Svezia…
Era la prima volta che accadeva, e fu merito di Azzurra. A coordinare il gruppo c’erano sempre la dottoressa Panizon e il dottor Nordio.»

Nel frattempo Azzurra cresceva?
«Molto lentamente… rispetto ai suoi coetanei era sempre uno scricciolo.»

È stata scoperta la causa della malattia?
«La vera scoperta avvenne diversi anni dopo la sua scomparsa. Si trattava di una malattia mitocondriale: un enzima non funzionava correttamente e impediva al corpo di trasformare il cibo in energia.
Mia figlia è stata una delle prime bambine in Italia a soffrire di questa malattia. Su di lei furono condotti molti studi.»

La malattia le impedì di condurre una vita normale?
«Sì. Quando la portavo a scuola, la aiutavo a sedersi in giardino. I suoi compagni correvano e giocavano, lei invece era costretta a restare ferma: non aveva le forze.
Ero io le sue gambe. Non era una vita normale.»

Quanto ha inciso tutto questo sulla tua vita lavorativa?
«La mia vita lavorativa scomparve. Fu completamente annullata.
Mia moglie ed io vendemmo perfino la casa per affrontare le spese di un viaggio in America, nella speranza di trovare una cura.»

E chi non può vendere una casa?
«Non lo so. Io so solo che ho speso centinaia di milioni di lire per scoprire cos’avesse mia figlia.
La Regione mi promise un aiuto che non arrivò mai.»

A parte tua moglie, ti sentivi solo in questa battaglia?
«In verità, ero molto combattivo. Avevo una forza tale da sentirmi capace di spaccare il mondo.»

La malattia ha avuto la meglio. A che età è venuta a mancare Azzurra?
«Aveva dodici anni. Era il 1998.
Forse non è stata la malattia, ma un’influenza sottovalutata. Non si è mai saputo con certezza. Mia figlia se n’è andata così, prematuramente.»

Nel 2000 nasce l’Associazione che porta il suo nome. Cosa è accaduto nei due anni precedenti?
«È stato un periodo di riflessione. Per dodici anni avevamo vissuto in simbiosi con l’Ospedale Burlo, dove andavo ogni due giorni. Per Azzurra era diventata una seconda casa.
Ricordo che salutava tutti, sempre sorridente. Consolava i bambini che dovevano fare i prelievi, tenendogli la mano. Non si tirava mai indietro.
Lei mi ha insegnato ad essere altruista, a essere quello che non ero.»

Chi era Alfredo Sidari prima di Azzurra?
«Un uomo di carriera, impeccabile, ben vestito, e non facevo nulla se non c’era di mezzo un guadagno.
Ricordo che in America, con 100 milioni di lire in tasca, dissi al medico: “Ho i soldi, faccia qualcosa per mia figlia.”
Mi rispose: “Anche se mi dessi il doppio, non potrei fare nulla.”
Solo allora capii che il denaro non valeva niente. Nemmeno i soldi potevano salvare Azzurra.»

Come ti ha cambiato Azzurra?
«Ti cambia la prospettiva.
Dopo due anni senza dormire, i pensieri mi presentarono il conto: mi scoprii profondamente arrabbiato.
Tra tante alternative poco edificanti, decisi di incanalare quella rabbia in qualcosa di buono: nacque così l’Associazione.
Ero convinto che tutta l’esperienza fatta nel tentativo di salvare mia figlia dovesse essere messa al servizio di altri genitori nella mia stessa situazione.»

Quali furono le prime attività dell’Associazione?
«Erano legate alla mia esperienza da rappresentante. Mettemmo in campo idee, energia e competenze per raccogliere fondi da destinare alla ricerca e alle famiglie in difficoltà.
All’inizio eravamo solo mia moglie ed io, e cercavamo di aiutare Isabella e sua figlia Francesca.»

Che ruolo ha avuto tua moglie?
«Determinante. Lei si prendeva tutti i pesi.
Io tornavo a casa con lo zaino pieno di pietre, gliele scaricavo addosso… e ripartivo leggero. Lei era il terminale di tutti i miei problemi.»

Oggi Azzurra avrebbe trent’anni. Se fosse ancora viva, saresti un uomo diverso?
«Avrei fatto carriera. Avrei accumulato ricchezza, magari mi sarei comprato una Porsche. Ero considerato una macchina da soldi.
Ma sarei rimasto un egoista.
Oggi, invece, grazie ad Azzurra, la mia vita è migliore. Mi dedico agli altri, mi sento vivo e utile.»

Quali erano i sogni di Azzurra?
«Voleva guidare una Cinquecento gialla. E, dopo aver partecipato allo Zecchino d’Oro, sognava di diventare una cantante.»

L’Associazione compie diciassette anni. Gli obiettivi sono stati raggiunti?
«Sì, pienamente.»

Ha ancora senso che esista?
«Se le istituzioni tenessero conto dei risultati ottenuti, potremmo anche pensare di fermarci.
Ma purtroppo dobbiamo continuare.»

Con quale spirito guardi al futuro?
«Con preoccupazione.
Spesso gli interlocutori sono politici che cambiano a ogni elezione. E ogni volta devo ricominciare da capo con la sensibilizzazione.
Così si perde tempo, e i risultati faticano ad arrivare.
Ma io non mi fermo. Continuerò, sempre, nel nome di Azzurra.»

 

Pierpaolo Gregori